Paola Pizzo, della Torrefazione Lazzarelle, racconta la nascita del loro progetto, le difficoltà che le donne detenute devono affrontare e la loro voglia di rivalsa e di riscatto sociale. Il caffè e il lavoro diventano due importanti mezzi per creare un nuovo futuro e nuove possibilità.
Potrebbe raccontare la storia della Torrefazione Lazzarelle? Com’è nata l’idea di questo progetto?
La Cooperativa Lazzarelle, e più in generale il progetto di un’impresa sociale che operasse all’interno di un carcere femminile, nasce dall’idea di un gruppo di operatori sociali che, dopo essere già entrati in contatto con la realtà detentiva, hanno deciso di sperimentare un tipo di attività diversa da quelle che generalmente s’incontrano all’interno del carcere, soprattutto per quanto riguarda le donne. Un intervento di tipo non solo riparativo ma qualificante, che offra la possibilità di riscoprire e acquisire competenze realmente spendibili sul mercato del lavoro una volta terminata la pena. È al contesto e alle condizioni socioeconomiche, infatti, che bisogna guardare per comprendere da dove nasce questo progetto: un’area geografica, la Campania, in cui le donne incontrano grandi difficoltà a entrare e restare nel mercato del lavoro e la condizione detentiva femminile che pone le donne in una condizione di maggiore difficoltà e fragilità.
Siamo fermamente convinte che le donne possano essere protagoniste del loro cambiamento e sulla base di questa convinzione crediamo che il riscatto e il reinserimento sociale ed economico debbano avvenire attraverso percorsi di emancipazione. Nella torrefazione artigianale le detenute sono regolarmente impiegate e si occupano di ogni fase del processo produttivo.
Il caffè per noi è il fine ma soprattutto il mezzo attraverso il quale riprendersi la propria identità liberandosi dal marchio della detenzione. Abbiamo puntato proprio per questo sulla promozione di nuova imprenditorialità e lavoro autonomo femminile, per far sì che il percorso di riscatto sia concreto, efficace e apra reali prospettive per il futuro delle donne ristrette, ma soprattutto che accompagni nella riscoperta dei propri diritti e delle proprie possibilità.
Abbiamo scelto il caffè perché è un elemento tradizionale e innovativo insieme, un prodotto che crea identità ma allo stesso tempo ricco di contenuti e prospettive nuove.
Immagino che la soddisfazione di aiutare diverse donne, detenute ed ex detenute, sia immensa. Potrebbe raccontarci un aneddoto per lei gratificante?
Non è facile individuare un aneddoto in particolare, il lavoro che facciamo è ogni giorno diverso, così come le donne che incontriamo, ognuna con la sua storia assolutamente unica. È sempre emozionante vedere quanto impegno mettono le donne nel lavoro, il legame che si crea con il caffè e oltre il caffè. Le donne scoprono com’è fatto il caffè verde così come arriva dai paesi produttori e seguono l’evoluzione del prodotto diventando loro stesse protagoniste e padrone del processo fino a raccontarne la storia. Molte diventano rapidamente brave e competenti, ma la gratificazione maggiore viene dal percorso e dagli ostacoli superati. Il senso di responsabilità, la consapevolezza di sé, in altre parole l’autodeterminazione. È questa la parte migliore, quando si ritrovano di nuove donne e non più detenute.
Infine, da quando abbiamo aperto il Lazzarelle Bistrot, un punto di vendita e somministrazione dei nostri prodotti situato in uno dei luoghi più belli della città di Napoli dove lavorano le donne detenute, siamo riuscite a realizzare uno degli obiettivi più importanti del nostro lavoro: dare continuità al percorso fuori dal carcere, far uscire le Lazzarelle dalle mura detentive e vederle finalmente confrontarsi con il mondo esterno, praticando ogni giorno quel reinserimento tanto desiderato.
Quando una donna entra a far parte del vostro progetto, viene effettuato qualche training/lezione?
Non teniamo delle lezioni perché pratichiamo e crediamo nella formazione sul lavoro. Quando una donna inizia a lavorare con noi, immediatamente entra in contatto con ogni fase del processo produttivo, dalla tostatura fino alla chiusura delle confezioni, si lavora e si apprende insieme.
Facciamo una formazione continua su diversi aspetti, alcune di loro prima di lavorare con noi non hanno mai avuto un regolare contratto di lavoro; anche questo è un elemento che fa parte dell’acquisizione di competenze e professionalità.
Avete mai fatto dei viaggi in piantagione?
Una frase che identifica Torrefazione Lazzarelle per concludere?
“Lazzarelle non si nasce, si diventa”, che prende ispirazione dall’affermazione di Simone de Beauvoir, “Donne non si nasce si diventa”. Il senso è che le scelte che portano a entrare in un percorso detentivo dipendono sempre dal contesto e dalle condizioni di vita, nessuna donna nasce con un destino già scritto ed è sempre possibile agire il cambiamento.
Ringraziamo Paola Pizzo per il tempo che ci ha dedicato e per averci raccontato Torrefazione Lazzarelle, la sua storia e le donne che ne fanno parte.
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